Ancora nessuna risposta definitiva da parte dell’UE alle migliaia di cittadini bielorussi in protesta nelle piazze e nelle strade del paese da ormai più di un mese, ovvero da quando le elezioni (fantoccio) dello scorso 9 agosto hanno visto Alexander Lukashenko trionfare come presidente per la sesta volta. Nessun accordo è stato infatti raggiunto durante la seduta del Consiglio europeo degli Esteri dello scorso lunedì 21 settembre, riunito per decidere in merito alle sanzioni – già approvate dal Parlamento europeo – da applicare contro il presidente bielorusso e le autorità a lui vicine. Eppure, la repressione violenta attuata contro le proteste pacifiche dei cittadini, nonché gli arresti degli oppositori e il ricorso – secondo l’opposizione – alla tortura sono colpe che i massimi esponenti europei hanno riconosciuto e condannato a gran voce. Ma forse più a parole che a fatti.
Il ruolo di Cipro. “Sosterremo un dialogo interno inclusivo, per elezioni libere e giuste. Questo non può essere considerata interferenza negli affari interni” aveva dichiarato poche ore prima del Consiglio l’alto rappresentate per la politica estera e la sicurezza dell’Ue, Joseph Borell, ma l’esito dell’incontro è stato tutt’altro che positivo. A far arenare il Consiglio, rendendo di fatto impossibile l’umanità per l’approvazione delle sanzione è stata Cipro, ma il motivo alla base del veto – ha ricordato lo stesso Borell – è stato in realtà di tutt’altra natura. Quella del ministro degli Esteri cipriota Nikos Christodoulides è stata infatti una vera e propria mossa strategica, finalizzata a far adottare all’Europa delle misure anche contro la Turchia, in seguito alle perforazioni illegali attuate da quest’ultima nel Mediterraneo orientale. Christodoulides d’altronde aveva dichiarato, appena arrivato al Consiglio: “le reazioni dell’Ue alle violazioni di qualsiasi principio o valore dell’Unione non possono essere ‘à la carte’: devono essere coerenti”.
La decisione è dunque rimandata al prossimo Consiglio europeo del 24 e 25 settembre, appuntamento che potrebbe sbloccare una volta per tutte lo stallo dell’Unione in merito alla questione europea. O, almeno così spera Borell, che si è detto fiducioso che la decisione di line politiche definite da parte dei leader dei 27 paesi renderà possibile un accordo in questa direzione. In caso contrario, d’altronde, l’Ue potrebbe “vedere minata la propria credibilità in politica esteri” ha ammonito l’alto rappresentante. Pericolo non affatto remoto, considerato che è ormai da settimane che l’Unione europea si dice pronta ad agire contro l’autoritarismo e i modi governativi antidemocratici di cui si sta macchiando il governo bielorusso.
I dati. Intanto, in Bielorussia, nella sola giornata di domenica oltre 400 persone sono state arrestate solo perché parte di quelle ormai interrotte proteste contro le autorità. A sottolineare la determinazione dei cittadini bielorussi è stata la stessa Svetlana Tikhanovskaya, la leader dell’opposizione, fuggita in Lituania all’indomani del 9 agosto, che in audizione alla commissione Affari esteri del Parlamento Ue, ha dichiarato: “Continueremo a protestare per settimane, mesi, anche anni, se necessario. Non saremo più ostaggi di Lukashenko, non vivremo più nelle sue prigioni, non torneremo più nello stato in cui abbiamo versato per ventisei anni”. L’ex insegnate di inglese ha poi rinnovato – in un punto stampa con il presidente del Parlamento, David Sassoli – il proprio appello alla comunità internazionale, chi3dendo a quest’ultima di “non accettare la legittimazione di Lukashenko perché non è legittimato agli occhi del popolo bielorusso”.