Dal 31 gennaio 2020 il Regno Unito sarà ufficialmente fuori dall’Unione europea, un avvenimento che avrà conseguenze irreversibili sul profilo economico e politico dell’Ue, e non solo. Stando infatti ai risultati di un recente studio condotto da The Migration Observatory dell’Università di Oxford sarebbero oltre un milione e mezzo i cittadini europei che vivono e lavorano nel Regno Unito ormai stabilmente, ma che non hanno ancora fatto domanda di residenza. Si tratta di un dato preoccupante, soprattutto perché è reale per loro – date alcune dichiarazioni del ministro degli Interni Brandon Lewis – il rischio di perdere il loro diritto a restare, fino anche alla possibilità di venir deportati.
La “Brexit dimenticata”. Così almeno – riporta il Sole 24 Ore – Matthew Evans, direttore dell’Aire Centre (Advice on Individual Rights in Europe) – il centro che ha diffuso lo studio in questione – ha descritto questo fenomeno, le cui potenziali conseguenze sembrano essere state fin ora troppo trascurate. Il governo si è infatti limitato ad esaltare i risultati positivi prodotti dall’EU Settlement Scheme, il programma di registrazione online dei cittadini europei, residenti e attivi nel territorio britannico. “Secondo il ministero dell’Interno – si legge ancora su Il Sole 24 Ore – a fine novembre 2,6 milioni di cittadini Ue, Eea e svizzeri avevano fatto domanda di residenza. 2,2 milioni di domande sono state accettate, il 59% ha ottenuto “settled status” e il 41% “pre-settled status”, ovvero un riconoscimento intermedio che permette di soggiornare in Gran Bretagna fino ad un massimo di cinque anni.
Ma un terzo dei 3,4 milioni di cittadini Ue in Gran Bretagna non ha ancora fatto domanda di residenza, un ritardo che – se superata la data ultima fissata nel mese di giugno 2021 – potrebbe costare agli “irregolari” l’espulsione dal paese. Non è ancora chiaro il motivo di questa adesione solo parziale all’EU Settlement Scheme, ma di certo potrebbe aver avuto un’influenza negativa sui cittadini europei la notizia diffusa dal governo per cui la soglia minima di un salario annuale da 30mila sterline, attualmente valida per i cittadini non europei, sarà applicata ai nuovi arrivati dall’Ue. Un vincolo che, nonostante i chiarimenti del governo sull’applicazione non retroattiva del criterio (valido dunque solo per i nuovi arrivi), potrebbe aver scoraggiato molti anche tra gli attuali residenti europei, convinti – secondo Evans – che la loro richiesta non verrà accettata.
A diffondere un simile clima di tensione e incertezza devono aver contribuito anche le dichiarazioni del ministro degli Interni che lo scorso ottobre – si legge sul sito Londra, Italia – aveva annunciato ad una testata tedesca che coloro che non avrebbero fatto domanda entro il tempo stabilito sarebbero stati soggetti alle norme in fatto di immigrazione, attualmente in vigore, ma valide solo per i cittadini non Ue. Evidentemente, poco è valso il successivo passo indietro compiuto da Lewis che ha chiarito come l’espulsione non sarebbe stata automatica, confermando comunque la volontà di accettare solo ritardi supportati da “validi motivi”.
Una “bomba a orologeria” anche per molte imprese britanniche, ha avvertito Evans, riferendosi alla forte presenza di cittadini europei non britannici all’interno delle imprese del Regno Unito. Secondo il Migration Observatory – si legge su Il Sole 24 Ore – quest’ultimi rappresentano il 7% della forza lavoro totale, ma ben il 21% in lavori poco qualificati nell’edilizia e nelle fabbriche. Sarebbero inoltre – stando a quanto rilevato dall’osservatorio – ben oltre 3,4 milioni i cittadini europei presenti in Gran Bretagna, eventualità che renderebbe ancor più difficile la registrazione regolare voluta dal governo. Ecco perché l’Aire Centre si sta impegnando in una campagna di informazione per rendere noti a tutti i cittadini Ue quelli che sono i loro diritti, anche in tempi di cambiamenti radicali quali saranno i prossimi mesi e non solo per la Gran Bretagna.