Nemmeno il tempo del ritiro delle truppe occidentali che in Afghanistan è di nuovo guerra aperta per la conquista del potere. I talebani conquistano giorno dopo giorno nuovi territori e puntano sulla capitale Kabul e le altre principali città dello stato asiatico. Un assedio generale portato avanti attraverso un’incontenibile ondata insurrezionale sempre meglio organizzata, armata e motivata.
Situazione. Di fronte all’avanzata talebana gran parte delle difese afghane cedono. Ovviamente, non nel loro complesso, ma in numero sufficiente per mettere in crisi la sopravvivenza di uno stato sempre più debole e vicino al collasso, che da oltre mezzo secolo è segnato da continui conflitti. Il governo ha ordinato alle unità militari di convergere sulle capitali provinciali, per poterle meglio difendere, ma la situazione resta critica. Ad oggi sono 204 i distretti controllati dai talebani, che solo lo scorso maggio erano poco più di una settantina; mentre sono 210 quelli contestati e 70 quelli ancora controllati dal governo. In breve, nel giro di poco più di due mesi il governo afghano ha perso il controllo effettivo del 30% del territorio nazional. Dall’altra parte, invece, i talebani hanno triplicano quello sotto il loro controllo, ottenendo il dominio effettivo del 50% del Paese.
Rischio di un nuovo conflitto. L’evoluzione geopolitica afghana rischia di trascinare il Paese in un nuovo conflitto civile, come quello che sconvolse il territorio afghano durante gli anni Ottanta e Novanta. Come fatto notare dal generale Austin S. Miller, comandante delle residue forze militari straniere in Afghanistan, la repentina caduta di molti distretti strategici in mano talebana unita alla presenza di milizie locali a supporto delle forze di sicurezza nazionali potrebbe far cadere il paese in una nuova guerra civile. Per comprendere la gravità della situazione basta guardare la situazione nella città di Herat, presieduta per molto tempo dai militari italiani. Il contingente italiano ha lasciato la base della città, capoluogo provinciale e più grande centro dell’ovest del paese, da poco più di due settimane. Oggi Herat è sotto assedio, con le strade di accesso e tutte le basi costruite e a lungo presidiate dagli italiani ormai sotto il controllo dei talebani. Quest’ultimi, inoltre, nell’ultima settimana hanno preso il controllo del posto di frontiera al confine con l’Iran, chiudendo così l’accesso al paese e l’eventuale via di fuga per molti civili.
Ismail Khan. La città di Herat non è ancora caduta e a difendere il perimetro urbano sono rimaste alcune unità delle forze di sicurezza nazionali, alle quali si sono uniti i combattenti fedeli al potente ex-comandante mujaheddin Ismail Khan. Il signore della guerra, proprio come fatto durante il conflitto civile, ha annunciato l’avvio della resistenza armata contro i talebani. Tale chiamata alle armi, rilanciata anche da altri importanti generali mujaheddin, sembra solo il preludio ad un nuovo conflitto civile dai risvolti imprevedibili. Mohammad Ismail Khan è un ex ufficiale dell’esercito afghano che prima, nel 1979, diede inizio alla rivolta contro agli occupanti sovietici, cosa che lo portò a divenire il più importante comandante mujaheddin della zona di Herat. In seguito, ha combattuto negli anni Novanta contro i talebani sino alla sua cattura nel 1997. Dopo poco tempo, però, riuscì a fuggire e divenne uno degli elementi chiave della coalizione militare anti-talebana, favorendo l’operazione Enduring Freedom per l’occupazione dell’Afghanistan da parte delle forze statunitensi nel 2001.
Fronte anti talebano. Ovviamente Khan non è l’unico generale pronto a contrastare l’avanzata dei talebani. Ci sono anche Ahmad Zia Massoud, ex vicepresidente afghano, e Atta Mohammed Noor, influente personalità del nord, entrambi ex generali Mujaheddin, che hanno risposto propriamente all’appello del Presidente afghano Ashraf Ghani a favore della creazione, data l’impossibilità di un aiuto statunitense, di fronte unito volto a sostenere le forze di sicurezza afghane e la difesa dello Stato. Una decisione che ha portato il nuovo ministro della Difesa, Bismillah Khan Mohammadi, ad avviare la distribuzione di armi, equipaggiamenti e risorse finanziarie a favore delle milizie Mujaheddin. Tuttavia, nonostante la giustificazione dell’avanzata talebana, l’affidarsi da parte dello Stato afghano a queste milizie rappresenta comunque una pericolosa arma a doppio taglio. Infatti, tali milizie posso essere utili sul breve periodo, ma rischiano di concorrere alla destabilizzazione locale e all’indebolimento della legittimità di governo, oltre che a inasprire le tensioni tribali ed etniche. Il rischio è quello di un disfacimento dell’esercito afghano, con i militari che andranno a riversarsi su un lato dei due fronti miliziani a seconda dell’appartenenza etnica, sia essa talebana o Mujaheddin. Tale scenario darebbe naturalmente il via ad una nuova guerra civile, capace di destabilizzare pesantemente un’area già di per sé molto fragile.