Sembrava che gli scontri con Hamas delle ultime settimane avrebbero condotto Israele verso due strade: un nuovo esecutivo Netanyahu o nuove elezioni. Invece, nella giornata di mercoledì i principali partiti di opposizione israeliani hanno annunciato di aver trovato l’intesa per la formazione di un governo di coalizione, che potrebbe mettere fine a dodici anni di dominio politico del Likud, il partito conservatore del primo ministro Benjamin Netanyahu.
Dunque, Israele ha un nuovo governo, cioè, in attesa della fiducia in Parlamento, a meno di eclatanti sorprese, ha l’accordo tra leader dei partiti, profondamente diversi tra loro, che vogliono intraprendere la strada di una coalizione unita in particolare dal desiderio dare una alternativa ai cittadini israeliani rispetto alla politica di Benjamin Netanyahu ed evitare così al Paese un ritorno alle urne. Così, mercoledì sera, mezz’ora prima della scadenza della mezzanotte del mandato affidato a Yair Lapid, l’ex ministro delle Finanze, nonché leader centrista di Yesh Atid (“C’è un futuro”), ha avvisato il presidente uscente Reuven Rivlin di essere riuscito a portare a termine l’incarico, ufficializzando l’uscita del Likud dal governo. L’accordo di governo è stato siglato da ben otto partiti di opposizione: i centristi di Yesh Atid e Blu e Bianco, i partiti di destra Casa Nostra, Yamina e Nuova Speranza, i Laburisti, il partito di sinistra Meretz e il partito di arabo-israeliani Lista Araba Unita.
Staffetta e fiducia. Secondo quanto stabilito dall’intesa, Naftali Bennett, ex ministro della Difesa e un tempo alleato di Netanyahu, sarà premier per i primi due anni di vita del governo. In seguito, il leader ultranazionalista, milionario nato come imprenditore dell’IT, passerà la mano allo stesso Lapid, che nel frattempo guiderà il ministero degli Esteri. Tuttavia, nel corso della prossima settimana, il nuovo governo sarà sottoposto all’approvazione della Knesset, il Parlamento israeliano. Lapid, che ha assicurato al Presidente di voler fare il possibile per unire tutte le componenti della società, può contare però su una maggioranza fragilissima: 61 voti su 120. Netanyahu, che secondo diversi osservatori non tenterà ogni soluzione pur di sbarrare la strada al nuovo governo, potrebbe avere gioco facile a cercare uno o più ribelli tra i deputati di Yamina (“Verso destra”), il partito di Bennett e che sono chiamati a governare insieme a esponenti della sinistra, laburisti e Meretz, e del centro-sinistra di Benny Gantz con il partito Blu e bianco. Non solo, la maggioranza è molto variegata anche a destra, con i nazionalisti di Yisrael Beitenu (“Israele è casa nostra”) guidati da Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e il centro-destra di Tikva Hadasha (“Nuova speranza”) di Gideon Saar, distaccato dal Likud.
L’evoluzione della trattativa. Le trattative per il nuovo governo erano cominciate dopo le ultime elezioni di fine marzo, che, come quelle precedenti, non avevano avuto un chiaro vincitore. Infatti, nonostante il Likud fosse risultato di gran lunga il partito più votato, non aveva ottenuto abbastanza seggi per formare un governo, nemmeno con l’aiuto dei suoi tradizionali alleati. A inizio maggio era scaduto il termine dato a Netanyahu per provare a formare un governo. Dunque, l’incarico era stato dato al capo del principale partito di opposizione, l’ex giornalista televisivo Yair Lapid del partito centrista Yesh Atid, che aveva tempo di provarci fino al 2 giugno. L’inizio delle violenze con Hamas aveva fatto temere il fallimento della trattativa, la quale è comunque stata realizzata allo scadere del tempo. Tuttavia, non è ancora certo però se ci saranno i numeri in Parlamento, dato che la nuova coalizione riuscirebbe ad avere 62 seggi in Parlamento, uno in più del minimo necessario per ottenere la fiducia, e sorprese dell’ultimo minuto non sono scontate.
A favore e contro il nuovo governo. I parlamentari Amichai Chikli e Nir Orbach, di Yamina, hanno già detto che non voteranno a favore del nuovo governo. Dunque, senza il loro voto, la coalizione avrà bisogno dell’appoggio di almeno un parlamentare di altri partiti per ottenere la fiducia. C’è la possibilità che Orbach dia le dimissioni prima della fiducia, permettendo al partito di sostituirlo con un altro parlamentare favorevole alla nuova coalizione di governo. Intanto giovedì pomeriggio la Lista Araba Unita ha fatto sapere che voterà a favore della sostituzione dell’attuale presidente della Knesset Yariv Levin (del Likud) con Mickey Levy (di Yesh Atid), proposta da tutti gli altri partiti della nuova coalizione e contro cui si era opposto sempre Orbach. Il timore della coalizione era che Levin potesse ritardare o bloccare il voto sulla fiducia al nuovo governo. Il nuovo governo Bennett/Lapid, inoltre, vedrà per la prima volta nella coalizione un partito arabo-israeliano, Ra’am, la Lista araba unita, che rappresenta il 21% della minoranza araba in Israele. Tenere unita una simile coalizione sarà la sfida più grande per i due leader la cui intesa politica e personale è forte, ma che saranno costretti, per tenere unita la squadra, a lasciare momentaneamente da parte la questione palestinese. Sempre al Presidente israeliano Lapid ha assicurato che il “governo lavorerà per servire tutti i cittadini di Israele, compresi quelli che non ne fanno parte. Rispetterà i propri oppositori e farà tutto il possibile per tenere unite tutte le componenti della società” e per tale motivo l’agenda politica si dedicherà principalmente alla ripresa dell’economia dopo la crisi Covid. Netanyahu in ogni caso promette battaglia. Il premier uscente in un recente tweet ha affermato: “tutti i legislatori eletti con i voti della destra devono opporsi a questo pericoloso governo di sinistra”. Dunque, l’obiettivo è quello di frantumare la coalizione ancor prima che nasca in parlamento. La partita si trasferisce al Knesset, dove Netanyahu vorrebbe prendere tempo per manovrare, aiutato come detto, dallo speaker suo alleato, ma proprio su questo punto il Lapid cerca invece di accelerare i tempi.