Il lavoro di Joe Biden alla guida degli USA sarà costellata di numerosi impegni e sfide sia sul piano interno, con la crisi sanitaria che continua a segnare nuovi record e ad inasprire il quadro economico e sociale, sia in campo estero. Subito dopo il suo insediamento, il nuovo inquilino della Casa Bianca si è messo subito a lavoro, firmando una serie di ordini esecutivi che ne hanno da subito delineato il suo approccio diametralmente opposto a quello del suo predecessore, Donald Trump. Tra in più importanti sugli esteri c’è il blocco dell’oleodotto verso il Canada e il rientro di Washington nel Trattato di Parigi, a segnare la svolta “green” della nuova amministrazione. Già questa mossa sta già producendo i suoi effetti, ma più in generale la sola cerimonia di insediamento ha già smosso qualcosa sul fronte internazionale.
Il ritorno del dragone. Una mossa attesa, ma imprevista per i tempi in cui si è realizzata. Pochi minuti dopo il giuramento di Joe Biden, Pechino ha emesso una serie di ordini restrittivi nei confronti di alcuni funzionari e membri dell’amministrazione americana uscente. Tra i nomi più pesanti c’è quello dell’ex Segretario di Stato; Mike Pompeo. Le sanzioni sono estese anche alle famiglie delle personalità colpite e prevedono il divieto di ingresso di quest’ultimi in Cina, a Hong Kong e a Macao. Inoltre, alle aziende vicine a questi funzionari o nelle quali sono coinvolti, sarà vietata la possibilità di stringere affari con le aziende cinesi. In totale sono ventotto le persone colpite dalla sanzione, colpevoli di aver “violato gravemente” la sovranità cinese. Alcuni di loro, oltre a Pompe, sono espressamente nominati: l’ex ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Kelly Craft, l’ex consigliere e stratega di Trump, Steve Bannon, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Robert O’Brien, e il suo vice durante il mandato di Trump, Matthew Pottinger. Naturalmente, Pechino ha fornito anche le motivazioni: “negli ultimi anni alcuni politici statunitensi anti-Cina hanno pianificato, promosso e portato avanti una serie di mosse folli che hanno interferito in maniera profonda negli affari interni, danneggiato gli interessi della Cina, offeso i cittadini cinesi e rovinato gravemente il rapporto tra Cina e Stati Uniti”.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso. La mossa del dragone è giustificata dalla provocazione finale fatta dall’amministrazione Trump nei giorni antecedenti la sua dipartita dalla Casa Bianca, nel quale accusava il dragone di crimini contro l’umanità nei confronti degli Uiguri e di altri gruppi etnici nella regione dello Xinjiang. Non solo, la questione riguarda anche in parte la questione Taiwan, con il riconoscimento formale da parte dell’amministrazione Trump e l’invito della rappresentante taiwanese alla cerimonia di inaugurazione, già oggetto di una protesta formale di Pechino verso la nuova amministrazione Biden. L’amministrazione Biden, attraverso uno dei portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Emily Horne, ha definito improduttivo “imporre queste sanzioni nel giorno dell’insediamento del nuovo presidente, sembra voler giocare sulle divisioni tra i partiti”. Tuttavia, la mossa non è affatto casuale. Come nota precisamente il preside dell’Istituto di Studi Internazionali dell’Università di Fudan e consigliere governativo, Wu Xinbo, questa sanzione di Pechino “è prima di tutto un segnale nei confronti dell’amministrazione uscente, e un pareggio di conti. Ma allo stesso tempo è un avvertimento per i futuri politici americani”. La Cina ha subito in questi mesi costanti attacchi da Trump su ogni fronte, ma ha sopportato le provocazioni in vista del cambio di amministrazione. Questa risposta, attesa ma sorprendente per i tempi, è un chiaro avvertimento a Biden. La volontà di dialogo tra Washington e Pechino c’è, ma le offese unilaterali non saranno più tollerate dal dragone, al momento in una posizione di forza.
Brasilia torna sui suoi passi. Se da un lato la Cina indica che il lavoro di Biden sarà molto complesso sul fronte del Pacifico, dall’altro il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi inizia a produrre i suoi primi effetti. Infatti, dopo aver sostenuto le tesi dei brogli di Donald Trump ed aver riconosciuto la vittoria dei democratici con oltre un mese di ritardo, Jair Bolsonaro ha inviato alla vigilia dell’insediamento una lettera a Joe Biden nella quale ha praticamente mollato le posizioni intransigenti riguardo all’Amazzonia e aperto ufficialmente ad un cambio di politica ambientale del Brasile. Una mossa necessaria per mantenere i rapporti con l’alleato americano e uscire da una posizione internazionale di isolamento, accentuata sempre più dalla sconfitta del Tycoon.
Dietrofront. Nella missiva inviata a Biden, Bolsonaro ha scritto: “Siamo pronti a continuare la nostra partnership a favore dello sviluppo sostenibile e della protezione dell’ambiente, in particolare dell’Amazzonia, sulla base del nostro dialogo avviato di recente. Faccio notare che il Brasile ha mostrato impegno per l’accordo di Parigi con la presentazione dei suoi nuovi obiettivi nazionali”. Una necessità politica evidente, soprattutto per evitare misure pesanti. Infatti, durante la campagna elettorale statunitense, Biden aveva annunciato la battaglia per la protezione dell’Amazzonia, che aveva spinto il Presidente brasiliano a reagire duramente rivendicando addirittura la propria sovranità. Dunque, una mossa necessaria per evitare l’isolamento, ma anche una manifestazione di evidente debolezza sul piano internazionale, dato che gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale del Brasile. Bolsonaro vive una fase di declino costante a livello politico sia fuori che dentro i confini dello Stato brasiliano e non può più permettersi di agire secondo i suoi istinti ideologici, lasciati sin troppo liberi di dettare l’agenda politica durante il mandato di Trump.
Il ruolo dell’Italia. In questo cambio di amministrazione americana, l’Italia potrebbe approfittarne per rilanciare il suo ruolo a livello internazionale. In questi giorni, molte testate italiano hanno riflettuto sul rapporto dell’esecutivo con l’amministrazione uscente e quella entrante, ma la questione è rimasta sempre grigia e poco conta in politica internazionale, specialmente in una storia di amicizia di lunga data a livello diplomatico. La cosa che conta di più in questa fase è la volontà degli Stati Uniti di riallacciare buoni rapporti con i partner europei e l’Italia ha in questo momento una agenda favorevole. Anzitutto, il primo appuntamento utile sarà il G20, di cui detiene la Presidenza di turno e potrà influire sull’agenda dei lavori e sui negoziati. Un contesto nel quale potrà favorire attraverso la propria credibilità un iniziale riavvicinamento tra Washington e Pechino, così come favorire un’intesa su importanti temi globali come la lotta alla pandemia, il cambiamento climatico, il commercio, il progresso tecnologico e le regole internazionali. Inoltre, c’è anche la questione del riavvicinamento tra UE e USA, dove Roma potrebbe far valere il suo peso di mediatore affidabile per entrambe le parti sia in ambito commerciale che in quello della difesa, dove favorire una maggiore sinergia tra la costruzione di una difesa europea e l’Alleanza atlantica. Insomma, l’arrivo di Biden alla Casa Bianca ha prodotto già i suoi effetti sul fronte internazionale. La strada resta lunga e complessa, ma la speranza di una normalizzazione delle relazioni internazionali resta forte e l’Italia può giocare un ruolo da protagonista in questo processo.