Lo aveva detto e alla fine ha vinto anche quest’ultima battaglia da Presidente: Donald Trump piazza Amy Coney Barrett come nono giudice della Corte Suprema, il massimo organo giuridico del sistema statunitense. Un risultato raggiunto grazie al voto del Senato, per molti versi scontato, che con una maggioranza di 52 voti contro 48conferma la nomina del Tycoon. Nelle fila repubblicane solo la senatrice Susan Collins non ha sostenuto la Barrett, che adesso prenderà il posto della compianta Ruth Bader Ginsburg, scomparsa lo scorso 18 settembre. In ogni caso, una clamorosa vittoria per Donald Trump, che lascia un pesante segno su un organo fondamentale dell’ordinamento americano, che rischia di condizionare notevolmente le future scelte di un eventuale esecutivo democratico, qualora arrivasse una sconfitta per i Repubblicani nella tornata elettorale del 3 novembre.Infatti, la sostituzione del giudice progressista con una figura fortemente conservatrice va a politicizzare ulteriormente il principale organo giuridico del Paese, che potrebbe condizionare scelte a livello legislativo che non siano gradite ai rappresentanti del Grand Old Party. Inoltre, Trump ha scelto la Barrett anche perché vuole una Corte nettamente schierata a favore dei conservatori in un’eventuale disputa sul risultato elettorale.
Eredità conservatrice. Il voto è ormai prossimo e sono settimane, per non dire mesi, che il candidato democratico, Joe Biden, è dato in vantaggio sul Presidente uscente. Trump, tuttavia, ha saputo sfruttare le circostanze e ha lasciato un pesante segno sul principale organo giuridico americano, che permetterà di mantenere sul piano interno un orientamento conservatore anche in caso di una sconfitta elettorale. Infatti, qualora il Partito Democratico dovesse fare bottino pieno e vincere presidenza, Camera e Senato, l’attuale composizione della Corte Suprema potrebbe bloccare le nuove leggi. Ovviamente, la nomina non è andata giu ai democratici, che hanno protestato per la nomina mentre Biden ha condannato la fretta con la quale è stata operata la scelta. Attualmente, la composizione della Corte Suprema conta ben sei giudici su nove di espressione repubblicana, la quale potrebbe condizionare la promulgazione di leggi progressiste come quella sull’aborto, sul cambiamento climatico e persino quelle riguardanti i sussidi alle famiglie colpite dal Covid-19. Il primo banco di prova di queste ipotesi sarà il 10 novembre, esattamente ad una settimana dal voto, quando la Corte sarà chiamata ad esprimere un parere sulla costituzionalità di una parte della legge comunemente chiamata “Obamacare”. Non si conosce l’esito del voto, ma un’eventuale inversione di rotta dei giudici sull’assistenza sanitaria, che l’amministrazione Obama estese a 24 milioni di cittadini, a soli sette giorni da un’eventuale vittoria democratica rischia di mostrare come l’ideologia del cosiddetto “trumpismo” sia ancora viva e condizioni pesantemente la politica americana, nonostante l’uscita di scena dello stesso Trump.
Condizionamenti. Gli Stati Uniti sono uno Stato fortemente diviso in frange su diversi livelli: ovviamente quello politico, con il costante scontro-confronto tra Democratici e Repubblicani, quello sociale, diviso tra liberali e conservatori, e infine quello razziale, con numerose suddivisioni tra neri, bianchi, ispanici e asiatici. Il primo mandato di Donald Trump, anche per una certa volontà politica, ha ampliato e polarizzato le suddette divisioni. In questo contesto la Corte gioca un ruolo fondamentale e delicato. Qualora i giudici si esprimessero contro il cosiddetto Obamacare, milioni di cittadini dello Stato più colpito a livello globale dalla pandemia si troverebbero senza assicurazione sanitaria. Sul lato ambientale, invece, il blocco della legge per la riduzione delle emissioni, dove gli States insieme alla Cina sono tra i principali responsabili, avrebbe conseguenze pesanti per il pianeta, poiché renderebbe vani qui pochi passi fatti in questi anni contro il cambiamento climatico. In pratica, l’eventuale azione di governo di un esecutivo democratico sarebbe costantemente condizionata dalla maggioranza conservatrice della Corte. Si tratterebbe in poche parole di una sorta di “dittatura della minoranza”, come definito da Ugo Tramballi in una analisi per ISPI, dove i Repubblicani cercano di realizzare l’obiettivo di “resistere alla demografia e alle sue conseguenze elettorali”, mentre i democratici sono pesantemente limitati nella loro azione di governo.
Rischi sul voto. Al di là di potenziali scenari su ipotetiche politiche democratiche del futuro, la scelta della Barrett da parte di Trump, come detto, rischia di avere delle conseguenze dirette sulla tornata elettorale del 3 novembre, in caso la Corte venga interpellata per esprimere un giudizio in merito all’esito dello stesso. Su questo fronte è già arrivata un’importante decisione in questi giorni. Infatti, la Corte ha stabilito che il Winsconsin non potrà contare le schede elettorali inviate via posta e arrivate dopo le votazioni del novembre e, sempre in questi giorni, un simile misura potrebbe toccare anche alla Pennsylvania e al North Carolina. Gli Stati citati appartengono alla categoria dei cosiddetti “Stati Viola”, cioè quelli ancora in bilico e contesi dai due candidati. Questo è il problema principale: qualora dovessero esserci vittorie incerte, dubbie o addirittura accuse di brogli elettorali, la Corte sarà ovviamente chiamata ad esprimere un giudizio. Dato che il Covid-19 ha incentivato molto il voto per posta, molti cittadini americani hanno già votato e stanno votando per corrispondenza. Al momento quasi 60 milioni di voti per posta sono pervenuti, quasi il doppio rispetto al 2016, quindi l’ipotesi di ricorsi elettorali e altamente probabile e rischia di trasformare la tornata in una di quelle più contese della storia statunitense. A pochi giorni dal voto, l’esito delle presidenziali americane è tutt’altro che scontato, con buona pace dei sondaggi.