Un medico in servizio presso il pronto soccorso di un pubblico della provincia di Brescia è accusato di omicidio per aver provocato intenzionalmente la morte di due pazienti affetti da Covid-19 somministrando loro farmaci ad effetto anestetico e bloccante neuromuscolare. Arrestato dai Carabinieri del Nas, l’uomo è stato posto agli arresti domiciliari a seguito di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Brescia.
Il fatto, a quanto si apprende, risalirebbe al marzo scorso proprio mentre la pandemia esplodeva e l’elevato numero di contagi unito alla natura del virus allora del tutto sconosciuto a medici e operatori sanitari, andava a ripercuotersi direttamente sulle strutture sanitarie ce si ritrovarono sovraffollate, con poco personale e mancanza di posti letto soprattutto nelle terapie intensive.
I Carabinieri del Nas di Brescia, – spiega l’Ansa – a due mesi di distanza dall’accaduto, raccogliendo ed elaborando indicazioni in merito alla possibilità che il decesso di alcuni pazienti fosse stato causato da pratiche mediche assunte consapevolmente da un medico, d’intesa con la Procura della Repubblica bresciana, hanno subito avviato un’indagine. Anche attraverso il supporto di accertamenti tecnici di medicina legale disposti dall’Autorità giudiziaria, le attività investigative hanno consentito di analizzare le cartelle cliniche di numerosi pazienti deceduti in quel periodo per Covid-19, riscontrando in alcuni casi un repentino e inspiegabile aggravamento delle condizioni di salute.
Tre salme sono state esumate e sottoposte ad indagini di natura autoptica e tossicologica. Dalle indagini è emerso che all’interno di tessuti ed organi di una di loro, vi fosse la presenza di un farmaco anestetico e miorilassante utilizzato solitamente nelle procedure di intubazione e sedazione del paziente che, se impiegato al di fuori di specifici procedure e dosaggi, può causare il decesso del malato. Inoltre, nelle cartelle cliniche dei deceduti oggetto di verifica, non è stata indicata la somministrazione di quei medicinali (riportata invece nelle cartelle di pazienti poi effettivamente intubati) tanto da ipotizzare a carico dell’indagato anche il reato di falso in atto pubblico.