Sì, esistono! Le sentenze “politiche” esistono e sono utilizzate per demolire gli avversari “politici”. Non hanno contenuti giuridici, anzi sono addirittura carenti in ordine alla costruzione logico-giuridica a sostegno dei principi affermati. Ed, infatti, il “plauso” non arriva dal mondo forense, bensì da quello fazioso e politico, e così non dovrebbe essere. Con la sentenza del 24 giugno scorso, le cui motivazioni saranno rese più avanti, la Corte Costituzionale ha “allargato” il principio già formulato in data 8 novembre 2018 (sentenza nr. 194/2018) ovvero che il sistema indennitario parametrato unicamente alla sola anzianità di servizio non garantirebbe “un adeguato risarcimento al danno effettivamente subito dal lavoratore ingiustificatamente licenziato e sufficientemente persuasivo nei confronti del datore di lavoro autore di un illecito”.
Ci sono già state importanti discussioni in merito ed ovviamente abbiamo registrato posizioni di condivisione, critica e divergenza anche se dal punto di vista giuridico ciò che resta in realtà dopo l’intervento della Corte Costituzionale è sempre l’art. 3, comma 1, dlgs n. 23 del 2015, che recita: “nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale”, senza tuttavia precisare né le modalità di tale indennità, né tantomeno quale sia la sua “funzione”.
Non è questa la sede per reimpostare un dibattito tecnico-giuridico, ma certamente si possono fare alcune considerazioni di ordine sistematico partendo da una considerazione incontestabile: ad oggi la determinazione del “risarcimento” è lasciata alla valutazione discrezionale del Giudice (sic!).Ora personalmente vorrei che la Corte chiarisse qual è il “danno” che non sarebbe “adeguatamente indennizzato” e perché mai ci dovrebbe essere nella disciplina dei licenziamenti un principio “dissuasivo” ?
Il sistema di risarcimento contrattuale in realtà potrebbe apparire congruo, equo ed esattamente l’opposto a seconda che il “sistema lavoro” del Paese possa o meno offrire una immediata ricollocazione.Ed allora, quando la Corte afferma quel principio si riferisce ad un “principio assoluto di inadeguatezza” oppure avendo a mente altre situazioni socio-economiche indipendenti dalla volontà del datore di lavoro ed al di fuori dalla sfera di azione di esso?
Credo che il tema vada approfondito, poiché ricordiamoci che poi – ad oggi – colui che determina la equità, congruità, e cosi via, è il Giudice che, guarda un po’, torna assoluto protagonista nel mondo del lavoro non per competenze giuridiche, bensì sociali e politiche. Qui non si vuole escludere la famosa “responsabilità sociale” dell’impresa, ma si vorrebbe poter sapere quali sono le sanzioni laddove un comportamento dovesse risultare illegittimo; credo che in un Paese civile non dovrebbe esistere una situazione di tal fatta.
Come non può trovare certo ingresso nella “responsabilità” del datore di lavoro il precetto degli articoli della Costituzione che, semmai, risultano violati nel loro significato da colui al quale sono diretti: lo Stato!Fino a quando continueremo a fare “politica” attraverso le norme e la giurisprudenza del lavoro, esso non troverà mai la strada giusta.