Pare esserci una soddisfazione generalizzata e generale in relazione alla sottoscrizione del CCNL Metalmeccanici che sarà in vigore fino al giugno 2024. Dopo più di un anno di negoziato e trattativa, il comparto che stima circa 1.600.000 lavoratori ha un contratto che nei suoi tratti principali sicuramente la parte economica, ma altre sono ugualmente se non più importanti. Mi vengono in mente gli aspetti legati alla prima parte del contratto circa le “relazioni industriali”, diritto di informazione e confronto; gli aspetti relativi alla formazione come “diritto soggettivo” nonché le sezioni dedicate alla “violenza di genere”, alla disciplina del lavoro agile e così via.
Detto ciò, se volessimo però trovare un punto in particolare che farà apprezzare questo rinnovo rispetto agli altri dobbiamo spostare l’attenzione su due aspetti: uno di merito e l’altro di contenuto. Il primo è decisamente molto interessante perché rimette le parti sociali al centro di un mondo – quello del lavoro – che appartiene a loro e dal quale troppo spesso sono risultate assenti ingiustificate.
In un momento storico che avrebbe altre volte dato il pretesto e giustificato un’inerzia negativa ed uno stallo ideologico, le parti sociali hanno dimostrato quella pragmaticità che la politica ha trascurato totalmente. Il confronto costruttivo volto a disegnare il futuro del lavoro del settore e la volontà di giungere all’accordo hanno fatto comprendere l’importanza primaria delle parti sociali che, scevre da condizionamenti politici, sono stati capaci di intercettare le istanze di entrambe e declinarle nell’interesse comune del Paese.
Tutto ciò conferma una convinzione antica, ovvero il valore insostituibile del “sindacato”, quindi attore protagonista della politica e del mercato del lavoro ma anche fonte di equilibrio sociale.
Ogni qual volta esso riesce a spogliarsi da condizionamenti e falsi “totem” il risultato è senza eguali e difficilmente raggiungibile attraverso la sola azione legislativa.
La parte di scontento, lo si può apprezzare nell’abbandono del sistema di classificazione del personale mai cambiato dal 1973! Prendere atto di quanto tempo sia passato, di quanti cambiamenti sociali, politici ed economici sono avvenuti senza che il sistema cambiasse è un atto di gran coraggio, visione e responsabilità .
L’abbandono, o meglio, il superamento del sistema fordista, la fine dell’organizzazione tayloristica del lavoro rappresentano la piena consapevolezza della necessità di cambiare non solo a “parole” ma anche nei fatti; ed allora rivedere la classificazione sulla base delle nuove tecnologie, dei loro effetti sull’organizzazione del lavoro, sulle competenze e professionalità , è il segno dell’avvenuto cambiamento.
La partenza è ottima, il resto lo fanno gli uomini.